Trump 2.0 e il crollo del dollaro: primi 100 giorni sotto il segno dell’incertezza

Donald Trump ha raggiunto il suo centesimo giorno in carica: il traguardo in base al quale sono stati valutati tutti i Presidenti americani da Roosevelt ad oggi e il dollaro.  Il verdetto è forte.

Il Dollar Index, indicatore che misura la forza della divisa americana rispetto a un paniere di altre valute dei mercati sviluppati, ha ceduto quasi il 10%. Si tratta in un certo senso di un record nei cinquant’anni trascorsi, ovvero da quando Richard Nixon sganciò il dollaro dall’oro nel 1971. Trump 2.0 è ora diventato un’eccezione speculare ai primi 100 giorni di Ronald Reagan, quando l’indice salì del 10%.

Se i dazi del “Liberation Day” hanno fornito il catalizzatore per far crollare il dollaro, l’incertezza che circonda la politica commerciale statunitense ora rende la divisa USA molto meno attraente. Secondo Deutsche Bank AG, i mutamenti sono stati notevoli:

• il più grande cambiamento nella politica commerciale statunitense in un secolo;
• la più grande svolta nella politica fiscale tedesca dalla riunificazione;
• la più significativa rivalutazione della leadership geopolitica statunitense dalla Seconda Guerra Mondiale, solo per citarne alcuni.

Ci sarebbero le premesse per l’inizio di un importante trend al ribasso del dollaro. Ciò non significa necessariamente che dovremmo considerare Trump 2.0 come un segnale della fine dell’egemonia del dollaro USA, sebbene si presti a questa narrazione probabilmente abusata. Circa il 90% delle transazioni transfrontaliere è denominato in dollari, una cifra ben superiore a quanto suggerirebbe la quota statunitense del PIL o del commercio mondiale. Gli Stati Uniti forniscono l’impianto finanziario per l’economia globale. Questo conferisce loro un’enorme influenza.